di
Giulia Bovassi (UNESCO Chair in Bioethics and Human Rights). Abstract. Abilità
chirurgiche raffinate e destrezza umana, sono caratteri pienamente manifesti in
operazioni tanto complesse quali i trapianti d'organo, interventi difficili e
grande risorsa terapeutica. Ma come porsi dinanzi alla possibilità di un
trapianto di testa (o di corpo) mantenendo al centro la persona-paziente? Quali
rischi derivano dalle scienze psicologiche? Grazie alla loro professionalità e
all'ausilio di casi già noti in letteratura, diversi esperti hanno aiutato a
far luce sulle plausibili conseguenze dal punto di vista della psicoterapia.
L'evento,
interno al Corso di Perfezionamento in Neurobioetica, ha ospitato tre grandi
scuole di psicoterapia e cinque professionisti del settore, insieme per un
momento interattivo di scambio vicendevole e approfondimento formativo sul
tema-guida del Corso, il cosiddetto “trapianto di testa” nell'essere umano.
L'incontro, coordinato dal Prof. Alberto Carrara e introdotto dalla dott.ssa
Maria Luisa Pulito, membro del GdN, medico psichiatra e neurobioeticista, è stata
una densa articolazione delle prospettive psicologiche la cui valenza
imprescindibile per una corretta disamina del progetto chirurgico in questione.
Il rigetto psicologico del paziente, dopo aver subito un trapianto di parti
visibili del corpo, non è una deduzione ipotetica, ma dato oggettivo del quale
la comunità scientifica non può non tener conto. Tali pazienti esprimono
disagio nei confronti del nuovo organo in varie modalità: come evidenziato
dalla dott.ssa Pulito, sentono minata la propria integrità con il conseguente
bisogno di assimilare nuovamente l'immagine decostruita di sé; vivono il lutto
per la mancanza di quel determinato
riferimento perso del loro corpo; sono animati da angoscia, paranoia, senso di persecuzione
ed estraneità nei confronti di quella novità applicata sulla loro figura; tutto
ciò contribuisce all'espressione di quel rifiuto psicologico, determinante, per
un paziente chiamato a ridimensionare la storia di sé. Proprio su questa storia
la dott.ssa Pulito, utilizzando la formula coniata da P. Ricoeur, di «sintesi
dell'eterogeneo», mostra quanto il vissuto narrativo e la temporalità,
determinanti lo specifico di ciascun essere umano, siano dense sintesi di
questo eterogeneo che ci investe dei suoi tratti in un connubio con la permanenza
temporale e storica dell'identità personale, definita in gran parte
dall'interazione relazionale. Un equilibrio tra permanere e mutare. Si chiede,
infine, la dottoressa, facendo preciso riferimento al potenziale paziente,
risultato di un ipotetico adempimento del body- to-head transplant:
«l'impressione lasciata nel circuito cerebrale del corpo originario sarà
sentita anche in quello nuovo? Quale sintesi dell'eterogeneo sarà possibile con
il trapianto di testa?».
Il
dott. Massimo Cotroneo, specialista in ipnosi e psicoterapia ericksoniana,
sostiene la strutturazione di previsioni ipotetiche, a partire dai casi già
illustrati di difficile convivenza fra paziente e nuovo organo o arto
trapiantato: esperienze di trapianto del volto o delle mani, ad esempio, sono
state oggetto di verifica delle risposte psicologiche e psicosociali degli
individui, i quali, seppur con evidenti miglioramenti sulla qualità della vita,
hanno dovuto affrontare non poche difficoltà nell'identità rappresentativa e
nelle implicazioni sistemiche-relazionali. Nonostante gli accresciuti benefici
funzionali, i pazienti tecnicamente sani, sviluppavano patologie
psicologiche-mentali difficilmente ignorabili e probabilmente nutrite già al
momento dell'adesione all'intervento. L'esperto si domanda la veridicità della
consapevolezza al consenso di un trapianto di testa, scelta senza ritorno. Ecco
l'apporto dell'approccio ericksoniano dove al centro permane la persona, sia
nella globalità costitutiva sia nell'unicità che la caratterizza, considerata
cioè, ogni volta, differente dai suoi simili. Tenere in ferma considerazione
l'insieme delle implicazioni che potrebbero nascere o incidere, prima e dopo
l'intervento, consente, ad una pratica quale l'ipnosi, di lavorare, grazie
all'accesso a stati speciali di coscienza, «su aspetti di coscienza e
psico-corporei profondi, talvolta mascherati da scelte non funzionali». Il
valore aggiunto della seduta ipnotica, risiede nell'accesso a luoghi altamente
conflittuali e complessi, spesso inesplorabili autonomamente, gli stessi che
porterebbero a condizioni fortemente disagevoli per il paziente
post-intervento. Ugualmente strategico tale strumento all'insorgere di dubbi
sull'autenticità del consenso: l'idea del trapianto potrebbe indurre confusione
o sentimenti ossessivi dettati dalla minima esperienza effettiva con simile
rappresentazione immaginativa dell'operazione. L'integrazione fra il vissuto
soggettivo e la sperimentazione di un percorso arduo e, per certi aspetti,
estraniante, come il peso del trapianto di testa, è un contatto esperibile
mediante ipnosi e senza dubbio sarebbe vantaggioso nell'accompagnamento umano
al paziente.
Il
direttore della S.I.S.P.I., Scuola Internazionale di Specializzazione con la
Procedura Immaginativa, il dott. Alberto Passerini, insieme alla collega, la
dott.ssa Manuela De Palma, psicologa e psicoterapeuta, propongono delle
considerazioni ipotetiche sui risvolti annessi al trapianto di testa, formulate
sulla base di quanto già appreso nell'Esperienza Immaginativa. La dott.ssa De
Palma evidenzia quanto già un trapianto, oggigiorno considerato “di prassi”,
irrompa nella vita psichica del ricevente, suscitando movimenti di
assestamento, assimilazione e accomodamento. Tale impatto trasversale induce
sintomatologie differenti, tra cui ansia, stress, depressione, le quali sul
paziente causano una crisi dovuta a disturbi dell'immagine corporea, della
rappresentazione di sé, dell'identità, oltre ai già citati ostacoli nella
percezione di un nuovo sé appartenente all'organo trapiantato (rigetto
psicologico). L'immagine corporea come rappresentazione psichica del nostro
corpo, che perdura nonostante il cambiamento (anche nel dolore e nella
sofferenza modifichiamo l'immagine del nostro corpo eppure l'identità, la
risposta biografica su noi stessi, permane entro le alterazioni). Il rapporto
tra Io Corporeo -Immaginario e Io-Psichico (lo si coglie se si prendono in
esame i casi di psicosi) viene profondamente mutato in seguito alla
dissociazione tra le immagini corporea e psichica. Nei trapianti, il macchinoso
riassestamento mentale, prevede due fasi: la prima in cui il pezzo familiare è
stato tolto (lutto), privazione di un'appartenenza; la seconda caratterizzata
da opprimente senso di colpa causato dal possedere qualcosa indebitamente (perché
proprietà di un altro, deceduto).
Ed
è qui che si apre «Il corpo abitato» del dott. Passerini, nell'accorporazione,
richiamata a chiusura del suo intervento dalla dott.ssa De Palma, unione cioè di integrazione e
incorporazione, crocevia –usando le parole del Direttore- proprio di un essere
senziente, quell'intreccio indissolubile fra interiorità ed esteriorità, poiché
egli non solo è investito di un corpo ma è il suo corpo (lampante nei pazienti
psicosomatici, i quali nella patologia falsificano ogni dualismo poiché usano
il corpo per inscenare conflitti interiori). Con la procedura immaginativa il
paziente riversa nella somatizzazione l'esperienza psichica traumatica, a
riprova dell'Io relazionale di sé con sé, se stesso con gli altri e se stesso
con l'ambiente. Tenendo salde fra loro le informazioni sviscerate dai relatori
fino ad ora, come si potrebbe pensare “un paziente sano” un paziente il cui
corpo non ha più nessun fattore in comune con la sua storia? Il problema
dell'identità, fin dalla prima lezione del Corso, è apparso centrale nel
dibattito insito ai tentativi del neurochirurgo torinese: in effetti, anche
sotto le articolazioni delle scienze psicologiche, viene assimilato
metaforicamente ad un Commonwealth nel quale variano i membri, ma è radicata la
sostanzialità, del tutto inglobata nella relazione tra le parti. Il timore è di
rendere, ad un paziente, affinché sia sano, con un corpo diverso dal suo,
un'esistenza fortemente lacerata in condizioni psicotiche, nelle quali le
condensazioni corporee ricombinano l'identità come somma di storia,
temporalità, biografia, alterità e corporeità. Sarebbe accettabile – ci si
chiede- una proporzione rischi/benefici nella quale pesa, su di un piatto delle
bilancia, il fondato timore di un “delirio di de-personalizzazione”, dovuto
alla percezione di un corpo scisso, estraneo, ricombinato?
Secondo
particolari correnti di pensiero, l'uomo potrebbe essere ridotto all'attività e
al contenuto cerebrale o, per altri versi, all'informazione iscritta nei suoi
geni dalla quale è nata ciò che molti definiscono una “genomania”. Torsioni
linguistiche penetranti, descrittive di un tipo d'uomo, che gli esperti,
psicologi e psicoterapeuti, la dott.ssa Chiara D'Urbano e il dott. Pasquale
Ionata, scardinano grazie all'esperienza psicodinamica. Quest'ultima tira le
fila di un quadro denso e ricchissimo analizzato fino a qui, sia nella
tavola-rotonda. che ha visto partecipi tanti professionisti, sia dall'apertura
stessa del Corso. In effetti, la dott.ssa D'Urbano offre una riflessione il cui
principio è squisitamente antropologico e filosofico, di rimando alla prima
lezione introduttiva nella quale si è fatta chiarezza sull'entità di movimenti
Transumanisti e Postumanisti, ed è utile ricordarne i principi poiché essi
stessi dimostrano l'ambivalenza di cui si nutre culturalmente gran parte della
società contemporanea: esaltazione del corpo e dell'estetica fino al suo
potenziamento e, parallelamente, mortificazione della corporeità a favore della
sola materia cerebrale come riassunto dell'uomo stesso. I modelli di
attaccamento, la sinergia fra mente-corpo e cervello, la relazionalità, sono
esemplificazioni di come la vita, fin dalle origini, sia un cammino di aderenza
e assestamento in vista di una costruzione inesauribile dell'identità e della
comprensione di sé. “Mentalizzare”, ovvero “tenere a mente la mente”, indica
esattamente la mole bibliografica che un buon lettore, come siamo noi con noi
stessi, deve compiere guardandosi nella sua interezza.
In
una situazione di trapianto di testa in un corpo è plausibile supporre stati
confusionali e disintegrativi di personalità? Rivolge, a ciascuno dei presenti,
questa domanda, il prof. Ionata, al termine della sua relazione sullo scambio
fra i tre cervelli dell'uomo: cerebrale (di cui massima espressione è la
creatività), cardiaco (di cui massima espressione è compassione e amore),
enterico (di cui massima espressione è il coraggio). Questi tre cervelli
dialogano fra loro mediante il nervo vago, al punto che si è dimostrato come il
maggior quantitativo di materiale informativo esegue movimenti dal basso verso
l'alto e non viceversa. L'importanza di non guardare alla persona come un
assemblaggio di parti e componenti, quasi fossero coinquilini ognuno avente la
propria privacy, affina lo sguardo
critico, cosicché non possa trovarsi impreparato in casi come quelli presentati
dal professore a seguito di trapianti cardiaci. Le mente relazionale
intrapersonale è la capacità di rendere conscio l'inconscio; di cogliere la
saggezza che fluisce dal dialogo fra mente conscia e inconscia. L'attivazione
fra i tre cervelli ridà consistenza al nostro rapporto somatico con la mente,
che molto spesso viene parafrasato con astrazione psichica, quando in realtà è
l'unità di un tutto integrato. Se noi consideriamo la dinamicità svelata dai
sogni enterici o cardiaci, come garantiamo una permanenza, una stabilità, alla
relazione, in un corpo trapiantato su di un cervello cerebrale estraneo agli
altri due suoi nuovi corrispondenti? È uno scenario più che plausibile e
realistico quello di un caotico nulla, aggravato da una memoria inesistente, in
un paziente che si ritroverebbe menomato nella sua capacità di rispondere a se
stesso.
Un
così fitto contenuto nozionistico ed esperienziale chiede a sua volta una
ponderata metabolizzazione, affinché possa aggiungersi un nuovo tassello al
mosaico interdisciplinare che il Corso sta proponendo, ma è altrettanto vero –
come suggerito dalla dott.ssa Viviana Kasam - che sollecita, immediatamente, una
curiosità sul limite dell'agire umano, proprio stimolato dalla gigantografia
delle sue ricadute. Dov'è il limite e quando l'attendibilità della
consapevolezza viene messa in crisi dalla potenza che, una decisione come il
consenso al trapianto di testa, trascina ai suoi piedi? In particolare, sul
consenso, la Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani sta compiendo enormi
studi e ricerche, affinché la rete intessuta dalla libertà decisionale di un
uomo, possa dirsi tutelata nei momenti in cui la vulnerabilità mostra tutti i
suoni della vita.
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