di Giulia
Bovassi. Abstract. Quale
lettura può offrire la teologia delle sollecitazioni provenienti dal
transumanesimo? Cosa ancora si potrà dire sull’uomo rivolto a Dio, proteso alla
ricerca spirituale e che tipo di visione manterrà o plasmerà di sé? Sono solo
alcuni degli interrogativi emersi durante il pomeriggio di venerdì 20 aprile
grazie agli interventi delle professoresse Giorgia Salatiello e Suor Daniela
Del Gaudio.
«Una rivoluzione spirituale pazzesca» e
un puro agire «tecnico», sarebbero tra i punti maggiormente sottolineati dal
neurochirurgo al centro del dibattito proposto dal Corso di perfezionamento in
neurobioetica, “Neurobioetica e transumanismo”, la cui prima edizione ha preso
spunto esattamente dagli scenari al margine del fantascientifico (divenuto, per
certi aspetti, prossimo alla realtà) del movimento Trans e Post-umanista,
cornice di quanto il dott. Sergio Canavero adduce rimarcando la possibilità di
un trapianto di testa su esseri umani, possibilità ad oggi bloccata dalla
precauzione e dalla responsabilità etica.
Come ha sottolineato il coordinatore
del GdN, P. Alberto Carrara, il quale ha avuto il piacere di essere diretto
interlocutore del suddetto neurochirurgo lo scorso 9 aprile all’interno di un
dibattito organizzato in occasione della seconda edizione di Cinema&Cervello
2018 – Neurofiction, organizzata dal BrainForum Italia, si è palesato
quanto sia preda di confusione e contraddizione agire sull’uomo cercando di
prescindere da una specifica visione circa la natura dell’essere umano e,
conseguentemente, dall’interrogativo etico attorno al nostro agire su di un’altra
persona, in definitiva di come un atto umano non possa isolarsi dal rapporto
con la libertà, la responsabilità e la dignità, elementi decisivi per depistare
ogni ipotesi di neutralità giudicata valida nei confronti dell’agire medico.
Congiungere, assemblare, ripristinare un nuovo funzionamento fra corporeità
vivente e corpo del donatore deceduto, sono termini dall’aspetto squisitamente
meccanico ed è nella semantica meccanica di tali concetti che un medico
potrebbe, erroneamente, intravvedere un mero fare in ciò che compie, riducendo
l’incontro fra due esistenze, medico e paziente, un avvicinamento fra operatore
e oggetto. Nel caso del trapianto di corpo, uscire dalla relazione cercando la soluzione
nell’investitura tecnica della propria vocazione originaria al prendersi cura
dell’altro, sembra essere l’unico supporto idoneo da un punto di partenza
intenzionalmente (o fatalmente) resosi svincolato dalla domanda etica,
insidiosamente neutro, cieco appresso la comprensione globale della
persona-paziente; il che d’altra parte non può dirsi effettivo dal momento che
nessun ambito medico può realisticamente esonerarsi dall’apertura all’altro.
Ogni ammalato orienta timori e speranze alla competenza di altri, facendoli
entrare nella propria vita in un concreto atto di fiducia sia professionale che
umana: non è solamente un corpo che soffre, ma una persona.
I due interventi, “L’antropologia
teologica si interroga sui recenti scenari sollevati dal transumanesimo”
della Prof.ssa Giorgia Salatiello (Pontificia Università Gregoriana) e “La
destinazione creaturale dell’uomo all’immortalità: identità e resurrezione”
della Prof.ssa Suor Daniela Del Gaudio (Pontificia Università Urbaniana), hanno
creato una suggestiva interazione fra l’anastomosi cefalo somatica, estendendo
la riflessione ai punti centrali del movimento Trans e Post-umanista, e la
teologia, in alcuni concetti di comune interesse benché differenti (ad esempio
immortalità, vita, significato della morte, della libertà, della corporeità,
della persona e il compito affidatole quando nelle sue origini si scorge Dio),
promuovendo uno scambio il più possibile costruttivo, evitando
cristallizzazioni acritiche senza per questo perdere l’identità propria di
quanto supportato da ciascuna posizione. In tal senso nel primo intervento sono
riemersi alcuni temi suggeriti in particolare nelle lezioni d’apertura del
Corso, a conferma del fatto che, usando le parole della prof.ssa Salatiello, «il
transumanesimo costituisce una grossa sfida per l’antropologia teologica»:
abbracciare una visione dell’essere umano come creatura implica che il nostro
agire libero non sia arbitrarietà (senza vincoli, spoglia di fondamenti);
maggiore dipendenza da Dio implica maggiore libertà poiché Dio pone la creatura
libera (nella concezione cristiana la libertà è costitutivamente orientata al bene);
in secondo luogo cosa si intende per “persona”, nozione che conserva in sé la
relazione con Dio, l’unicità del singolo e di nuovo la risposta libera alla
chiamata amorevole.
Tutto questo, tenendo presente il linguaggio transumanista,
viene a dissolversi in un’ottica fluida, evoluzionistica dell’essere umano (si
veda il concetto stesso di enhancement o la figura del cyborg,
senza precisa collocazione), insieme al venir meno della distinzione fra egli e
gli artefatti, fra l’uomo e l’animale, di un netto distinguo, ovvero quello
segnato dall’immagine e somiglianza di Dio. Individuo (termine più comunemente
usato proprio in quanto abile a sottolineare la povertà ontologica nello
sguardo alla persona) ridotto drasticamente alla visione dualistica di sé, affinché
si renda in qualche modo dicibile una trasformazione continua e indefinita,
dissipando unità e integralità a partire da una mutazione radicale, pur sempre
liquida, del corpo, «protesi modificabile».
Suor Daniela Del Gaudio approfondisce
ulteriormente il raffronto teologico anche alla luce dell’escatologia,
agganciando significativamente la sostanzialità dell’essere umano come essere
relazionale nel suo rapporto con Dio e nell’essere umano quale tutto integrato,
di cui l’anima forma la materia e la cui identità incisa sostanzialmente,
ontologicamente, dall’elemento spirituale. La dualità umana si riconosce nell’unità
compiuta dal principio spirituale, ovvero l’anima; in ciò sussiste la validità
di una concezione di corpo come di corporeità, cosa che non si applica per l’animale.
Il corpo caratterizza storicamente la persona nell’unione mediante il tratto
spirituale, che permane quando tutto il resto muta. A fronte del tentativo di alcune
dottrine di sciogliere l’unità dell’essere umano attraverso la sottrazione dell’anima,
soffio vitale e collante in una relazione frontale con Dio, la Professoressa
parla di «realismo pneumatico», usando l’espressione di Papa Benedetto XVI, in
risposta a questioni spinose insorte conseguentemente, come i dubbi sull’identità
dei corpi risorti se separati dall’anima; in secondo luogo, cosa resterà fedele
all’io soggettivo e, ancor più, a chi egli sarà fedele (sentiamo una certa
ridondanza fra antiche e attuali questioni).
Nella resurrezione l’anima andrà a
riplasmare la materia con quella stessa forma che «virtualmente conserva in sé»,
la nostra corporeità sarà trasfigurata e rinnovata sul modello di Cristo e ciò
combatte sia fisicismo e naturalismo, sia spiritualismo: l’incontro con Cristo
segna una vita nuova così come la sequela di Cristo indica la vocazione all’immortalità,
una chiamata alla vita eterna. La Chiesa afferma che esiste da sempre una
resurrezione: in essa il nostro corpo conserva la sua identità e l’io umano
sussiste e sopravvive, nonostante il dissolvimento del corpo, nell’elemento
spirituale. Con la vittoria di Cristo sulla morte, l’amore ha tolto ogni barriera
totalmente negativa circa l’evento finale della vita terrena che smette di
rappresentare una desolazione senza vita, una condanna, divenendo liberazione e
adempimento. Qui morte, sofferenza e dolore, riempiono il loro spazio di senso
e la vita eterna perpetua la chiamata a vivere con Cristo, comunione che rende
piena e viva ogni altra relazionalità.
A concludere la tavola rotonda un
interessante dibattito aperto sugli spunti appresi dalla Lettera Placuit Deo
ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della salvezza cristiana
della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella quale viene fatto
esplicito riferimento a due tendenze oggigiorno ampiamente diffuse o dalle
quali sembrano trarre ispirazione certe correnti di pensiero: neo-pelagianesimo
e neo-gnosticismo. La prima nell’autosalvezza che l’uomo pretende di dare a se
stesso, riscontrabile nel modo con cui egli si serve (o si fa servo) della
tecnica, quindi robotica, tecnologie, ecc; nel secondo una soffocata immanenza,
una salvezza soggettiva, che rimanda anche alla liberazione dal corpo. Dalle
riflessioni, in effetti, è emerso come il transumanesimo contenga dei richiami
forti a entrambi questi due vertici, «due tentazioni dell’essere umano», così
ambivalenti nelle loro espressioni all’interno della tensione intima di
ciascuno a uscire da sé, scovare la verticalità relazionale con Dio,
appropriarsi di una metafisica annichilita, e la seduzione del dominio, sotto
il quale anche gli esseri umani hanno cosificato la loro natura per renderla
malleabile e disponibile.
Una specifica valutazione del soggetto
oggettificato, da cui la domanda essenziale: «il concetto di dominio arbitrario
vale anche per l’uomo su se stesso oppure no? Cioè l’uomo che può disporre di
tutto, può disporre anche di se stesso a suo piacimento?». Quesito
urgente, al vertice di un laborioso ragionamento critico tanto particolare,
annesso a ciascuno, quanto globale e in tal senso di continuo, puro riferimento
ai diritti fondamentali dell'uomo, perché egli venga custodito, non dominato,
dai suoi simili o dalle sue opere.
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