martedì 11 dicembre 2018

Roboetica: ibridazione e umanizzazione della tecnologia riabilitativa. Sintesi del seminario GdN

Corso di Perfezionamento in “Neurobioetica e Roboetica”. Gruppo di Ricerca interdisciplinare in Neurobioetica, sintesi dell’incontro del 23 novembre 2018 intitolato: Roboetica: ibridazione e umanizzazione della tecnologia riabilitativa

di Giulia Bovassi. Abstract. Luciano Bissolotti, medico e specialista in riabilitazione, responsabile del servizio di recupero e rieducazione funzionale della Domus Salutis di Brescia, ha agganciato il tema dell’umanizzazione della tecnica al valore terapeutico-riabilitativo della robotica, innestato nell’interrogativo etico fuoriuscito dal mutamento relazionale che, necessariamente, la nuova tecnologia oggi determina.



Questa seconda edizione del Corso di Perfezionamento in Neurobioetica e Roboetica ha spalancato l’accesso al panorama sanitario connesso all’applicazione robotica proponendo una sequenza storica del processo evolutivo compiuto dall’innovazione ingegneristica, medica, informatica e tecnica. Intuitivamente, essendo direzionata al circolo socio-vitale della persona, non può che innervarsi entro la sua complessità, in quanto «biografia e biologia, con una storia, una narrazione e non solo materia», per usare i termini del prof. Bissolotti. Riprendendo il concetto etimologico del termine “robot”, il cui rimando a “robota”, servire o lavoro forzato/obbligato, il Professore illumina un fondamentale aspetto che deve essere tenuto a mente quando si parla di robotica per l’uomo e non oltre il fruitore: fin dalle origini più remote, già attorno al 1920, lo scopo principale è stato il servizio, non «robotizzare la persona o i suoi bisogni», al contrario dare a esigenze umane maggiore umanità attraverso il miglioramento della qualità della vita, che è esattamente quanto Domus Salutis cerca di compiere da anni nel contesto riabilitativo. Quest’ultimo, pur essendo fra le linee di ricerca preferenziali anche a livello internazionale, risulta un tipo di finalità non esaustiva della varietà indagata globalmente ed è per questo che incalza l’inquietudine etica insieme all’attuazione concreta della robotica (un esempio fra tanti il tema della sostituibilità dell’essere umano tanto come lavoratore quanto come membro protagonista della relazione o, altresì, la constatazione di una marcata medicalizzazione dell’esistenza che andrebbe intensificandosi).

Essendo un ambito con forte attrattiva in moltissime aree economicamente forti negli investimenti scientifici, preso atto dell’implicazione morale del tutto inesplorata fin d’ora, è evidente la pressione verso la riscoperta di strumenti comuni di dialogo che garantiscano mezzi da un lato per promuovere questa spinta in avanti dall’altro affinché i singoli riescano a prenderne atto senza soccombere a relazioni umano-tecnologico scorrette, ambigue o dannose, come nel caso di scenari robotici antropomorfi declinati in esiti nefasti. Roboetica quindi come neologismo coniato proprio dal vociare della tumultuosa inappropriatezza di un’etica senza aggiornamento su concetti quali sostitutivo, soggetto, essere umano, bene e male, libertà, volontà, ecc. Sono solo alcune delle questioni che già la letteratura degli anni ’80 con Asimov, autore delle tre leggi della robotica, oggi ripropone: può un ingranaggio robotico essere nocivo? Si potrà parlare di empatia? Quale sarà quell’aggettivo squisitamente umano che si farà rimpiangere? Le tre leggi -a detta dell’esperto dott. Bissolotti- oggi sintetizzano una sorta di «legge zero», cioè quella tale per cui non sarebbe concesso all’invenzione robotica nuocere all’essere umano o non predisporre azioni che possano contrastare la messa in pericolo dello stesso, asserzione che in medicina, in sanità, viene raccomandata dal mettere in atto delle scelte volte al beneficio del paziente, evitando di recargli danno (Ippocrate), seguendo una ponderata opzione deliberata a seguito di analisi rischi/benefici che, nel caso della terapia riabilitativa, implica una seria considerazione in merito al tipo di risultati ipotizzabili sapendo che il recupero totale delle funzioni è difficilmente raggiungibile, per quanto sperato, da cui consegue uno slittamento verso la prevenzione con lungimiranza su temporalità a breve e lungo termine rispetto al lavoro e alle capacità acquisite con la terapia. Questo approccio, insieme alla complessità dei fattori inerenti all’ambito descritto, incide ancor più intensamente il contesto neuroriabilitativo dove ad operare sono numerosi fattori clinici volti al recupero del danno generatosi a seguito di una lesione al sistema nervoso. Unendo le estremità delle tre leggi di Asimov e della peculiare azione neurorobotica, vi è un considerevole processo di adattamento della macchina al paziente, secondo l’etimologia sopracitata del termine “robot”, qui calata, senza sbavature, in comportamenti terapeutici integrativi fra l’adattamento del mezzo all’uomo e dell’uomo al supporto robotizzato, mediante progressiva incentivazione motivazionale, ripetitività motoria-terapeutica, dati esperibili di intensità, qualità, ecc. Per usare una felice espressione del docente esperto, potremmo dire che l’agire robotico punta a curare una struttura accompagnandone l’iter di ripristino perché giova al migliorarne il funzionamento, applicando un «paternalismo morbido» quale impalcatura dell’avanguardista interazione uomo-macchina.

D’altra parte la medesima problematicità insita nel tipo di offerta che la robotica medica costituisce per i pazienti, causa la demarcazione onnipresente del sottile confine delineato dall’antropomorfismo robotico: un aspetto sperimentale ma altrettanto agognato, nel quale i bisogni della persona determinano una risposta che le assomigli e, in qualche caso non così raro, supplisca a mancanze esistenziali come fossero sanitarie. In altri termini, il confine sbiadito fra terapeutico e potenziativo. Se, appropriandoci delle parole del prof. Bissolotti, vi è una coevoluzione in atto tra essere umano e robot, occorre domandarsi come e in che termini l’interdipendenza delle due è mutata in duplice autonomia dove concorre il timore della mente pensante di assomigliare a qualcosa diverso da sé, forse più vicino alla macchina, per continuare a gareggiare con la pressione esercitata dalle pretese nell’unico, pluristratificato, magma socio-economico o socio-culturale, terreno di sfida per ambedue corse evoluzionistiche.

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